venerdì 19 ottobre 2018

La spada vichinga a unico taglio



   Quando si parla di tecnologia militare vichinga, la prima cosa che salta in mente è l'ascia, ma esistevano varie tipologie d'armi tra cui un guerriero professionista poteva scegliere e che poteva prediligere. Una di queste era la spada a un solo taglio.
  La spada mostrata in foto è stata ritrovata in Irlanda ed è datata tra l'800 e i primi anni del 900, ma esemplari simili esistono anche in Danimarca e in Norvegia, dove costituiscono circa il 20% delle spade ritrovate.

Due spade norvegesi a unico taglio


  Per molto tempo questa tipologia è stata ignorata o addirittura esclusa dallo studio delle spade d'età vichinga, e ancora oggi nella scena rievocativa sono escluse a favore delle più classiche spade a doppio taglio o delle asce danesi. Uno dei motivi principali di questo poco interesse è che non si sa in quale periodo storico collocarle con sicurezza assoluta.
  Il loro aspetto "arcaico" ricorda molto il sax (o scramasax) di età precedente. Il sax era essenzialmente un lungo coltello, di misura compresa tra i 30 e i 60 cm (manico escluso), senza guardia e con una semplice impugnatura liscia e lineare, di legno od osso. In area scandinava furono usati fino alla prima età vichinga, ma erano molto in voga nei secoli precedenti come arma da guerra, anche se nelle Saghe non mancano descrizioni di combattimenti con il sax, soprattutto in Islanda. 
Guerriero con sax, dall'Inghilterra
(Ricostruzione su originale
nel museo di Jorvik, York. Mia foto)
  La struttura della spada a unico taglio differisce però dallo scramasax, avendo due caratteristiche che le rendono armi diverse: la lunghezza e l'elsa tipica di una spada. 
  Ora, se si guardano le else delle prime due spade a taglio singolo (sopra) e le si confronta con la spada a doppio taglio (sotto) si vede come le differenze siano inesistenti. 
Spada tipo-B (transizionale)
La spada qui sotto appartiene al periodo cosidetto "transizionale", cioè alla primissima età vichinga (fine 800), quindi si capisce che le due tipologie sussistevano contemporaneamente. 

Il fatto che le due tipologie appena viste siano molto somiglianti potrebbe essere spiegato non soltanto con la loro contemporaneità, ma ipotizzo che lo si possa vedere come una delle ultime espressioni di un modo di concepire e costruire un'arma come la spada con caratteristiche propriamente scandinave. Per capire meglio, bisogna considerare che la maggioranza dei modelli successivi, di età pienamente e tardo vichinga, era soggette a influenze continentali, di area franca, e che in generale in tutta Europa a partire dalla metà del 800 le spade ricadevano più o meno nelle stesse tipologie, ovviamente declinate a seconda dei gusti e delle aree. 
  Per modelli diversi si intende la forma dell'elsa, che è quella che muta nel tempo e che può assumere forme differenti a seconda delle zone. 
 Pertanto, mentre i modeli successivi ricadevano in una sorta di "globalizzazione" tecnologica militare, in mancanza di studi approfonditi si può pensare che la spada a unico taglio rappresenti una peculiarità propria del mondo scandinavo. 

Dal punto di vista fisico, la spada a un solo taglio non era molto complessa. Innanzittutto richiedeva un rafforzamento del lato non affilato, definito "spina", che doveva far sì che il colpo non spezzasse la spada, ma in un certo senso irrigidiva molto la lama, che tra l'altro era dritta. Non presentava decorazioni, neanche sul pomolo o sulla guardia, almeno così pare dai ritrovamenti, anche se è possibile che ci fossero esemplari più adornati. Ma ciò che salta all'occhio è la bassa qualità del ferro, che evidenza una manifattura molto semplice e a basso costo e che lascia spazio per varie ipotesi:

  1. la spada a un solo taglio era un'arma socialmente bassa
  2. si trattava di uno strumento di ripiego o di ausilio, una "arma di emergenza" derivata dallo scramasax da guerra che fondamentalmente aveva la stessa funzione. In questo caso poteva servire più classi sociali


Bibliografia:

  • Ian Peirce, Swords of the Viking Age, The Boydell Press, 2002
  • Jan Petersen, De norske vikingesverd, 1919
 

domenica 14 ottobre 2018

Le navi di Gokstad e Tune (Museo delle Navi Vichinghe di Oslo - Parte II)









Continua dal link precedente 

Nell'ala destra del Museo si incontra la seconda imbarcazione: la nave di Gokstad.
L'aspetto non differisce granchè da quello della nave di Oseberg, nè la sua struttura. è solo un po' più grande, anche se a vederla inspira molto meno maestosità. Una sensazione del tutto ingiustificata, che spinge molti visitatori  a passarla rapidamente in rassegna, con scarsa attenzione e forse anche un po' di altezzosità. La nave è infatti completamente disadorna, a eccezione soltanto di una testa d'animale scolpita sulla barra del timone (pressocché invisibile a chi la guarda dal basso), a poppa, e il suo aspetto panciuto e decisamente massiccio, pesante, la rendono la sorellastra grigia di Oseberg. 



Quando l'aspetto inganna 


Più che sorellastra, dovremmo dire "nipote". Costruita attorno al 850, quindi almeno cinquant'anni dopo che il cantiere aveva sfornato la nave di Oseberg e quasi vent'anni dopo la stessa tumulazione, la nave di Gokstad è la prima vera imbarcazione vichinga.


Uno dei 62 scudi ritrovati nella "Gokstad"



  Intanto, qualche numero. Lunga 23,24 m., larga 5,20 m. e con un'altezza dalla chiglia al parapetto di 2,02 m., il peso dello scafo è stimato attorno alle 20 ton., aveva postazioni per 16 rematori, e si è calcolato che per costruire la chiglia da un pezzo unico i carpentieri dovettero lavorare una quercia intera di 25 m.! Tutto ciò, naturalmente, con la sola forza delle braccia. Tanto di cappello. 

  Una bellissima ricostruzione moderna di una delle tre barche più piccole  trovate insieme alla nave di Gokstad è stata fatta dal Vikingskibs Museet di Roskilde in questo articolo.

  Dal punto di vista strutturale, era più solida della nave di Oseberg e adatta a tenere il mare, e anche questa era un karfi, una piccola nave da cabotaggio su cui viagggiavano potenti signori. 

 Per la sua struttura essenzialmente più robusta e la sua datazione, siamo di fronte a un bastimento che sta a metà tra le imbarcazioni d'epoca pre-vichinga (la nave di Oseberg) e quelle d'età pienamente vichinga. Un anello di congiunzione che aveva già sviluppato sufficiente potenza di navigazione e solidità ma che doveva ancora rivelare tutte le sue potenzialità. 



L'uomo di Gokstad era connesso alle donne di Oseberg?


 

  Come sempre, ci si muove nel campo delle ipotesi. 

  L'uomo sepolto nella camera funeraria, morto attorno ai 40 anni (o poco più avanti), era alto tra 1,78 m. e 1,84 m., un'altezza considerevole per la sua epoca (la media per gli uomini si aggirava sul 1,65 m.) e che mostra come fosse un uomo in salute, abituato certo allo sforzo fisico e con una dieta molto ricca di proteine. Insomma, rispecchiava alla perfezione l'aspetto comune e gigantesco che attribuiamo ai Vichinghi. Si trattava quindi di un uomo non soltanto potente, ma anche ricco dal punto di vista fondiario. Soltanto le élites potevano permettersi sepolture del genere che abbiamo visto. Sull'estrazione sociale non ci sono perciò dubbi. Mancano le armi con gli uomini venivano abitualmente sepolti, anche qui a causa di un saccheggio perpetrato nei secoli passati, ma si può facilmente immaginare quali armi possedesse. 

©️ Christer Tonning


  La fattoria di Gokstad, dove si trova il tumulo, si trova nella stessa zona di Oseberg, nel fiordo di Oslo. Come abbiamo visto nell'articolo precedente questa regione era particolarmente ambita e fu teatro di importanti scontri tra i sovrani dell'Oppland, da dove proveniva Guðröðr il Cacciatore, e i capi del sud. L'interramento della nave sotto il tumulo si stima si avvenuto intoro al 900. Questa datazione escludere quindi le ipotesi dei primi scavatori che identificavano l'uomo di Gokstad come l'Olaf figlio re di Guðröðr e della prima moglie Álfhildr, che nel 900 avrebbe dovuto avere almeno 90 anni. 

  Se qualche connessione esiste tra i due tumuli, può essere di varia natura, non necessariamente familiare. Attorno al 900 nelle regioni norvegesi stavano avvenendo grandi rivolgimenti e le vecchie famiglie aristocratiche che non si allineavano a questi cambiamenti potevano essere estromesse, e quindi sostituite con altre, o in maniera non meno dolorosa scegliere l'esilio. A questo punto, l'uomo di Gokstad potrebbe essere uno dei molti personaggi citati nelle saghe connessi a re Harald I Bellachioma che in quella stessa epoca aveva imposto il proprio potere sulla Norvegia occidentale e meridionale, ma è difficile valutare se fosse uno dei suoi molti alleati o piuttosto un avversario. è affascinante credere, solo ipoteticamente, che questo guerriero di 40 anni sia stato tra i nemici di Harald e che sia morto combattendo faccia a faccia contro di lui, ma non è dimostrabile. Come per le donne di Oseberg, le sue ossa



La nave di Tune








Scavata e tirata fuori dal suo tumulo nel 1867 dall'archeologo Oluf Rygh, la nave di Tune è la prima a essere mai stata rinvenuta. Anche se incompleta e nell'aspetto poco accattivamente, la sua scoperta fu di importanza fondamentale. Prima di allora non si aveva l'idea precisa di come apparissero le navi elogiate ma poco descritte nelle Saghe.

  Cronologicamente è contemporanea alla nave di Gokstad, databile alla metà del IX secolo, ma purtroppo le conoscenze su di essa languono. Non si è mai provato a restaurarla nè a ricostruire la parti mancanti, e anche le informazioni sono molto limitate. Dal punto di vista strutturale doveva essere molto simile alla Gokstad, ma il bordo era leggermente più basso, cosa che le conferiva un'aspetto molto piatto. Paradossalmente era assai larga, in modo che tenesse meglio le correnti.



Reperto e ricostruzione ipotetica in un francobollo norvegese


  

La sua funzione non è chiara. Non sembra probabile pensare a una nave merci o da guerra, ma è plausibile che, come la nave di Oseberg, fosse più di rappresentanza. D'altra parte, se non avesse posseduto un significato prezioso per il suo proprietario, non sarebbe stata scelta come sepoltura. 

 

 

Bibliografia e link 


  


mercoledì 10 ottobre 2018

Il Fantasma del Tumulo

Il tumulo di Thorgeirdys, Islanda (Fonte: guidetoiceland.is)
In Islanda, nel Breiðafjörður, viveva un uomo di nome Thorsteinn Thorvardsson. Thorsteinn aveva una moglie di nome Helga, sorella di un abate.
Un giorno Thorsteinn, uscito da messa la sera tardi, anzichè prendere la consueta strada di casa si avventurò in una piccola valle, dove trovò un tumulo di pietre. Vi passò vicino, ma inciampò e cadde. Nella caduta, intravide tra le pietre alcune ossa umane e una spada. La prese e se la portò a casa.
La sera successiva, dopo una lunga giornata, Thorsteinn andò a letto e si addormentò. E sognò.
Sognò un enorme uomo, di bell'aspetto, armato di una bellissima ascia decorata. Era il proprietario della tomba che Thorstein aveva trafugato.
"Rendimi la mia spada, Thorstein Thorvardsson, o terribili cose accadranno a te e alla tua famiglia!," gridava il draugr, il fantasma. "Restituisci la mia spada, Thorsteinn Thorvardsson, o io ti maledirò!"
Thorsteinn si agitava nel sonno, terrorizzato, ma non riusciva a risvegliarsi. Sua moglie Helga, coricata accanto a lui, lo svegliò e preoccupata gli domandò cosa stesse accadendo. Thorsteinn non voleva spaventarla, perciò disse che andava tutto bene e si rimisero a dormire. 
Poco dopo, il draugr riapparve, più minaccioso e terrificante di prima, intonando una poesia:

Di sangue ho bagnato questa lama
nei corpi di feroci guerrieri, 
nei tempi trascorsi.
La battaglia di un re ho osato affrontare.
Gli uomini cadevano, in numero crescente,
un prezzo mortale, molto tempo fa.
Ma lo stesso gioco potrei rifare con te,
mio ononimo, molto volentieri.

Thorsteinn questa volta non si fece spaventare e rispose anche lui con una poesia:

Con il sangue ho arrossato la mia spada,
combattendo dove le spade incrociano le spade,
quando la mia lama batteva le ali(1).
Ho servito sangue da bere alle aquile, 
i corvi ho sobillato.
Colpo su colpo ti sconfiggerò,
esperto combattente.

Allora il fantasma, colpito dal suo coraggiò, replicò: "Adesso hai il mio benestare, Thorsteinn. Te lo meriti, e non potrebbe essere altrimenti". Infine sparì.
Si fece mattino. Thorsteinn si alzò di buon'ora e si incamminò verso la valle del tumulo, ma quando arrivò non lo trovò. Lo cercò a lungo, tornando più volte sugli stessi luoghi: ma il tumulo era scomparso, come se non fosse mai neppure esistito. Allora Thorsteinn comprese di aver sconfitto il fantasma e che non sarebbe mai più tornato a tormentarlo. 

*

Il testo è un riadattamento del breve racconto islandese Kumlbúa þáttr, disponibile in lingua originale e in inglese
Nella letteratura nordica sono numerosi i racconti nella sulle sepolture e i defunti redivivi, noti come draugar, e non sempre hanno un lieto fine come in questo caso. Thorsteinn può considerarsi un fortunato!
 
Note

(1): "batteva le ali" è riferito a una kenning, una metafora che raffigura la spada come un drago. Perciò la frase dovrebbe essere: "quando il mio drago del fodero (la spada) batteva le ali (veniva agitata)."

 

martedì 9 ottobre 2018

Una nave per una signora (Museo delle Navi Vichinghe di Oslo - Parte I)

Immagine correlata

Oslo, capitale della Norvegia, Museo delle Navi Vichinghe. Un enorme complesso a croce dalle pareti bianche e il tetto spiovente rosso, con tanti finestroni, che all'apparenza non sembra aver nulla a che fare con delle navi, tanto meno con i Vichinghi. Anzi, a primo impatto sembra di essere capitati davanti a un collegio di inizio '900. Idea non del tutto errata, visto che il primo impianto del museo, ideato appositamente per ospitare le prime navi d'età vichinga mai scoperte al mondo, fu costruito tra il 1913 e il 1926. 

Non appena si entra, però, l'idea un po' deludente e un po' ingiustificata (dovevano pur sempre trovare una sistemazione adeguata per un museo, che cosa ci si può aspettare? Una sala dorata in stile Beowulf?) svanisce per far posto allo stupore. 

La prima cosa che si nota subito è la tantissima luce, accentuata dal bianco delle pareti e forse della particolare struttura a botte delle sale, che conferiscono ancora più monumentalità all'interno. Un effetto assolutamente ricercato e ottenuto, perchè subito l'attenzione viene catturata da un profilo enorme e nero, un arco perfetto, che sembra venire inconto al visitatore come se galleggiasse sul mare. Un po' come provare le stesse sensazioni di chi, oltre mille anni fa, vedeva comparire dal nulla, sull'oceano, quei profili e le vele al vento che nella maggioranza dei casi non promettevano nulla di buono. Insomma, il visitatore ignaro, e anche chi in quel museo è già stato tante volte, prova sempre la stessa sensazione al primo ingresso. Quella di essere finito sulla stessa rotta di una temibile nave vichinga.
In realtà, di temibile aveva poco o niente. Maestosa lo era e lo è di certo, anche dopo quasi 1100 anni sepolta sotto tonnellate di terra e pietre, ed era proprio ciò che i suoi proprietari volevano.  

La nave di Oseberg

Esistono varie categorie di navi vichinghe. Di per sè non è una terminologia proprio esatta, si potrebbe discutere in intere opere enciclopediche di cosa sia considerabile "vichingo" e quanto questo termine sia ambiguo, ma essendo la definizione più comune per ora andrà benissimo.
C'erano navi  per tutte le esigenze e per tutti i gusti. L'imbarcazione era (ed è ancor oggi) un mezzo fondamentale per i popoli nordici, dunque c'era una vasta gamma, e naturalmente nel tempo si evolvevano, a seconda delle necessità, dei luoghi, delle disponibilità materiali. Sono tre le tipologie di navi vichinghe più conosciute: la langskip (la nave lunga da guerra), lo skeið (anche questa da guerra, ma più piccola e con struttura simile alla prima) e il knörr (un cargo, cioè una nave mercantile con diversi tonnellaggi di portata). La nave di Oseberg non rientra in nessuna di queste tre.

Fatta interamente di quercia, lunga 21,58 m e larga 5, 10 m (nella sua ampiezza massima), la nave di Oseberg non era un'imbarcazione adatta a prendere il mare. Poteva navigare solo in acque molto basse, al massimo dentro un fiordo seguendo la linea di costa, e non solo per il basso pescaggio (con pescaggio si intende la parte di una nave che rimane sott'acqua), comune a tutte le navi vichinghe con le dovute differenze. La sua struttura era scarsamente robusta, aveva un bordo molto basso e non era capace di sostenere a lungo l'albero maestro di 12 m.
Planimetria della nave di Oserberg (fonte sconosciuta)
Il suo aspetto invece era estremamente curato. Innanzitutto risaltano la prua e la poppa, due pezzi unici che formano una curvatura accentuata e perfetta e decorate di traverso da due file di incisioni. Entrambe terminano con una spirale, a prua ornata con una testa di serpente. Tuttavia queste estremità superiori mancavano al momento del ritrovamento, perciò mentre la ricostruzione è esatta per la prua, non c'è certezza su come terminasse l'estremità della poppa, che in base ad alcune raffigurazioni venne resa come la coda del serpente di prua.

Di che tipo di nave si tratta? Siamo di fronte a un karfi, una nave di media stazza che poteva avere dai 6 ai 16 rematori per lato (un equipaggio di massimo 40 persone, dunque) atta a navigare nelle acque calme dei fiordi e nelle baie. Ma c'è di più. Nonostante la sua piccola stazza, un karfi poteva avere qualche finalità pratica, di trasporto o di spostamento. La nave di Oseberg era troppo poco solida, un'imbarcazione a uso personale e celebrativo di un grande signore che poteva permettersi un tale sfoggio di ricchezza e di mantenerla in uso per ben cinquant'anni. Sì, perchè le analisi del legname e degli oggetti rinvenuti a bordo hanno fatto calcolare la sua costruzione a circa 50 anni prima del suo interramento. Una durata di vita molto elevata, dovuta sicuramente all'estrema cura, al poco utilizzo e anche alla robustezza del legno di quercia, non a caso prediletto dai costruttori navali.

Il tumulo di Oseberg

A circa 100 km a sud-ovest di Oslo, nella contea di Vestfold, si trova il luogo di maggiori scoperte di navi vichinghe in Norvegia. Qui, nella fattoria di Oseberg, vicino il capoluogo della contea Tønsberg, 1200 anni fa venne eretto un tumulo monumentale alto 6 m. e di circa 4,4 m. di diametro. Sotto, si trovava una grande e maestosa nave in legno di quercia, all’interno della quale erano state sepolte due donne, una di giovane età, l’altra di età avanzata, accompagnate nel loro riposo dalle carcasse di 12 cavalli, un carro, una slitta, entrambe fittamente ornate, oggetti personali e da lavoro, soprattutto tessitura, e una vasta serie di suppellettili, tra cui un curioso secchio, chiamato “di Buddha” per i due omini in bronzo che adornano il manico del secchio, raffigurati con gambe incrociate e occhi schiacciati o semplicemente chiusi, che ricordano un Buddha (foto affianco).
Fonte: http://saamiblog.blogspot.com/
La tomba doveva essere estremamente ricca, molto più di quanto lo sia oggi, e la sua notorietà non passò inosservata. Non sappiamo quando (forse nel pieno Medioevo, forse poco tempo dopo la tumulazione) alcuni ladri riuscirono a entrare nel tumulo, praticando un buco nella nave e poi nella terra, per trafugare gli oggetti più preziosi.
Nel 1904 iniziarono i lavori di scavo nel tumulo, per far tornare alla luce ciò che la terra aveva nascosto per secoli. In quell’epoca il tumolo era ormai tutt’altro che imponente. A causa di uno smottamento del terreno, la parte centrale era collassata, tanto che il tumulo non superava i 2 m. di altezza. Ciò che gli archeologi trovarono all’interno, però, sebbene derubato dei suoi preziosi e ridotto a innumerevoli frammenti, era un tesoro inestimabile. Una scoperta che non solo rientrava a pieno titolo nel patrimonio mondiale, ma che gettava finalmente luce su come veramente apparivano le navi vichinghe. 
 

La nave di una regina?

Le due donne nella camera funeraria, posizionata al centro della nave, furono sepolte simultaneamente in un anno compreso tra l’800 e l’850. Anzi, alcune analisi hanno fornito una datazione ancora più precisa, ponendo la loro morte al 834. Un periodo particolarmente importante per la Norvegia.
Per cercare di capire le ipotesi fatte sull’identità e l’importanza delle due donne di Oseberg, partiamo da un breve tratteggio della storia norvegese in quel particolare secolo.
Le nostre conoscenze sulla Norvegia del IX secolo sono molto labile e si confondono con la leggenda. In quel periodo non esisteva la Norvegia, se non come concetto geografico molto ristretto, riservato alla sua costa atlantica, oggi nota come Vestlandet (Terra Occidentale). Altre regioni, pur importanti, erano il centro nord, oggi Trøndelag, l’estremo nord dove i norvegesi convivevano con le tribù Sami (preferisco sempre usare il loro etnonimo, piuttosto che il poco corretto Lapponi), l’Hålogaland, e ultima, ma non per importanza, l’Østlandet, la regione più orientale che confina con la Svezia e, tramite il mare, con la Danimarca. Questi territori erano più o meno indipendenti gli uni dagli altri, anche se naturalmente sussistevano rapporti diremmo oggi “internazionali” di vario tipo: commerciali, sociali e soprattutto politici. Alcuni di essi sentivano di appartenere a un’unità quanto meno culturale, ed è il senso di appartenenza a favorire i migliori processi di aggregrazione, pur quando imposti dall’alto. 

Questo stupendo carro intagliato era tra gli oggetti funebri che accompagnavano le due donne. (Fonte: Museum of Cultural History, University of Oslo/ Eirik Irgens Johnsen)

Nel 800 si era al principio dell’Età vichinga e sia in Norvegia sia in Danimarca si stavano mettendo in moto i primi atti per un’unificazione territoriale. Nella Norvegia centrale da qualche generazione dominava una dinastia che secondo il mito risaliva al dio Freyr, gli Ynglingar. Guðröðr il Cacciatore regnava su una larga porzione di territorio che abbracciava tutto il centro-sud della Norvegia. L’aveva ereditato da suo padre, Hálfdan. Ma Guðröðr doveva accrescere il proprio dominio, non solo per una questione di prestigio o di potere, ma per un fatto pratico. Il suo territorio non aveva sbocchi sul mare. Il più lungo fiordo di Norvegia, il Sogn, confinava a ovest con il suo regno, ma era nella mani di altri potenti signori, e lo stesso valeva per il fiordo di Oslo, a sud. Il mare era ciò che rendeva veramente ricco e potente un capo. Dunque Guðröðr operò una scelta ponderata. Sposò in prime nozze una principessa di nome Álfhildr, la quale gli portò in dote l’oggi contea di Østfold (per intenderci, a est di Oslo). Ma Álfhildr morì e Guðröðr necessitava di nuove alleanze, oltre che di imporsi sui nuovi vicini. Sull’altra sponda del fiordo si trovava un altro piccolo regno, Agðir, il suo re si chiamava Haraldr, e sua figlia Ása, della quale Guðröðr chiese la mano. Haraldr rifiutò, temendo che quell’unione avrebbe inglobato il proprio piccolo territorio in quello di Guðröðr oltre che, ipoteticamente parlando, distaccare il sud della Norvegia dall’influenza danese.

Così, come era consuetudine, Guðröðr attaccò l’Agðir e uccise Haraldr. Sua figlia Ása fu costretta a divenire sua moglie e Guðröðr acquisì il pieno dominio sul sud  della Norvegia. Ma non durò a lungo. Dopo un anno di regno, Guðröðr fu ucciso al termine di un banchetto da un uomo armato di lancia. Il potere dunque passò a Olaf, il figlio della prima moglie Álfhildr, che prese possesso solo sui territori originariamente detenuti dal padre e non sull’Est. Ása, che aveva riconosciuto di essere la mandante dell’omicidio del marito, tornò nella sua terra insieme al figlioletto di un anno, Hálfdan, e qui assunse il potere fino al di lui diciottessimo anno. 


Non è possibile sapere con assoluta certezza se questa storia si verificò realmente o, piuttosto, se si tratta di un’interpretazione non lontana dalla verità ma arricchita da eventi plausibili.
Ora, tenendo conto che Oseberg ricadeva grosso modo nel territorio posseduto da Ása e suo figlio Hálfdan, è possibile che una delle due donne tumulate sia proprio la regina Ása? Come detto, la differenza d’età tra le due è rilevante: per la più anziana si è giunti 70-80 anni, la più giovane ne aveva poco meno di 50. Facendo qualche calcolo, partendo a ritroso da due generazioni successive con il nipote Harald I, nell’ipotesi che la donna più giovane dentro la tomba fosse proprio Ása, si può arrivare alla seguente datazione:



L’ipotesi che il tumulo di Oseberg, e quindi la nave, appartenessero alla regina Ása è stata avanzata da numerosi studiosi, basandosi sulla storia appena raccontata e sull’etimologia popolare che vuole che il primo termine “Ose-“ sia una distorsione linguistica nel nome originario “Ása”. Tuttavia se non è possibile confermare la teoria, in mancanza di altre informazioni non è possibile neanche smentirla. Si è a lungo provato a stabilire mediante il DNA la connessione tra le due donne sepolte, senza alcun risultato[1], dunque la loro identità rimane un mistero.

Chiunque fosse il proprietario della nave, comunque, deve essere stato sepolto insieme ad essa e non poteva essere un personaggio di poco conto. Già di per sé possedere una nave, anche molto piccola, era segno di rispettabilità e di potere. Certamente la donna che ne era venuta in possesso (per eredità? Per sua stessa commissione?) era una figura che esercitava una certa influenza. Perciò, anche se forse non appartenne mai ad Ása, e forse neanche a una regina, possiamo essere certi che questa nave fu la degna sepoltura di una donna di prestigio, che amava circondarsi di lusso e di bellezza. Senza ombra di dubbio una donna potente. 
  

La tappezzeria di Oseberg

Tra i numerosi oggetti di valore seppelliti insieme alla nave si ritrova un pezzo fondamentale per la storia dell’arte vichinga , l’unico del suo genere in tutta la Scandinavia. È l’arazzo di Oseberg.
La definizione di “arazzo” per questo piccolo frammento non è esatta. La tecnica dell’arazzo è molto diversa e inventata in un’età molto più tarda, mentre qui siamo in presenza di un ricamo. 
Ricostruzione moderna di un lato dell'arazzo (fonte: www.thornews.com)

I pochi frammenti rimasti non danno un’idea complessiva di come poteva apparire, perciò le moderne ricostruzioni sono soltanto speculative. Ci sono però dei punti fermi. Si trattava di strisce di tessuto larghe tra i 16 e i 23 cm., di lunghezza ignota e ornate ai bordi da nastri tessuti a tavolette, che venivano appese alle pareti, e rappresentano una cerimonia, della quale ignoriamo la natura. Una moltitudine di personaggi affollavano la scena: uomini con lance e spade, cavalli, carri, uomini impiccati ad alberi come offerte sacrificali. I colori nel tempo sono sbiaditi, ma tramite alcune analisi si è cercato di ricostruirli. I materiali utilizzati erano lino (per lo sfondo) e lana (per le figure e i nastri sugli orli).

Bibliografia e link 


 

 




Elmi vichinghi (VIII-XI secolo)

Ricostruzione dell'elmo di Kiev   Di elmi indossati da guerrieri vichinghi oggi ne rimangono pochissimi esemplari. Al contrario de...