Oslo, capitale della Norvegia, Museo delle Navi
Vichinghe. Un enorme complesso a croce dalle pareti bianche e il tetto
spiovente rosso, con tanti finestroni, che all'apparenza non sembra aver nulla a che fare con delle navi, tanto meno con i Vichinghi. Anzi, a primo impatto sembra di
essere capitati davanti a un collegio di inizio '900. Idea non del tutto
errata, visto che il primo impianto del museo, ideato appositamente per
ospitare le prime navi d'età vichinga mai scoperte al mondo, fu costruito tra
il 1913 e il 1926.
Non appena si entra, però, l'idea un po' deludente e
un po' ingiustificata (dovevano pur sempre trovare una sistemazione adeguata
per un museo, che cosa ci si può aspettare? Una sala dorata in stile Beowulf?)
svanisce per far posto allo stupore.
La prima cosa che si nota subito è la tantissima luce,
accentuata dal bianco delle pareti e forse della particolare struttura a botte
delle sale, che conferiscono ancora più monumentalità all'interno. Un effetto
assolutamente ricercato e ottenuto, perchè subito l'attenzione viene catturata
da un profilo enorme e nero, un arco perfetto, che sembra venire inconto al
visitatore come se galleggiasse sul mare. Un po' come provare le stesse
sensazioni di chi, oltre mille anni fa, vedeva comparire dal nulla,
sull'oceano, quei profili e le vele al vento che nella maggioranza dei casi non
promettevano nulla di buono. Insomma, il visitatore ignaro, e anche chi in quel
museo è già stato tante volte, prova sempre la stessa sensazione al primo
ingresso. Quella di essere finito sulla stessa rotta di una temibile nave
vichinga.
In realtà, di temibile aveva poco o niente. Maestosa
lo era e lo è di certo, anche dopo quasi 1100 anni sepolta sotto tonnellate di
terra e pietre, ed era proprio ciò che i suoi proprietari volevano.
La nave di Oseberg
Esistono varie categorie di navi vichinghe. Di per sè
non è una terminologia proprio esatta, si potrebbe discutere in intere opere
enciclopediche di cosa sia considerabile "vichingo" e quanto questo
termine sia ambiguo, ma essendo la definizione più comune per ora andrà benissimo.
C'erano navi per tutte le esigenze e per tutti i gusti. L'imbarcazione era (ed è ancor oggi) un mezzo fondamentale
per i popoli nordici, dunque c'era una vasta gamma, e naturalmente nel tempo si
evolvevano, a seconda delle necessità, dei luoghi, delle disponibilità
materiali. Sono tre le tipologie di navi vichinghe più conosciute: la langskip
(la nave lunga da guerra), lo skeið (anche questa da guerra, ma più
piccola e con struttura simile alla prima) e il knörr (un cargo, cioè una
nave mercantile con diversi tonnellaggi di portata). La nave di Oseberg non
rientra in nessuna di queste tre.
Fatta interamente di quercia, lunga 21,58 m e larga 5,
10 m (nella sua ampiezza massima), la nave di Oseberg non era un'imbarcazione
adatta a prendere il mare. Poteva navigare solo in acque molto basse, al
massimo dentro un fiordo seguendo la linea di costa, e non solo per il basso
pescaggio (con pescaggio si intende la parte di una nave che rimane
sott'acqua), comune a tutte le navi vichinghe con le dovute differenze. La sua
struttura era scarsamente robusta, aveva un bordo molto basso e non era capace
di sostenere a lungo l'albero maestro di 12 m.
Il suo aspetto invece era estremamente curato. Innanzitutto risaltano la prua e
la poppa, due pezzi unici che formano una curvatura accentuata e perfetta e
decorate di traverso da due file di incisioni. Entrambe terminano con una
spirale, a prua ornata con una testa di serpente. Tuttavia queste estremità
superiori mancavano al momento del ritrovamento, perciò mentre la ricostruzione
è esatta per la prua, non c'è certezza su come terminasse l'estremità della poppa,
che in base ad alcune raffigurazioni venne resa come la coda del serpente di
prua.
Di che tipo di nave si tratta? Siamo di fronte a un karfi, una nave di media stazza che poteva avere dai 6 ai 16 rematori per lato (un equipaggio di massimo 40 persone, dunque) atta a navigare nelle acque calme dei fiordi e nelle baie. Ma c'è di più. Nonostante la sua piccola stazza, un karfi poteva avere qualche finalità pratica, di trasporto o di spostamento. La nave di Oseberg era troppo poco solida, un'imbarcazione a uso personale e celebrativo di un grande signore che poteva permettersi un tale sfoggio di ricchezza e di mantenerla in uso per ben cinquant'anni. Sì, perchè le analisi del legname e degli oggetti rinvenuti a bordo hanno fatto calcolare la sua costruzione a circa 50 anni prima del suo interramento. Una durata di vita molto elevata, dovuta sicuramente all'estrema cura, al poco utilizzo e anche alla robustezza del legno di quercia, non a caso prediletto dai costruttori navali.
Planimetria della nave di Oserberg (fonte sconosciuta) |
Di che tipo di nave si tratta? Siamo di fronte a un karfi, una nave di media stazza che poteva avere dai 6 ai 16 rematori per lato (un equipaggio di massimo 40 persone, dunque) atta a navigare nelle acque calme dei fiordi e nelle baie. Ma c'è di più. Nonostante la sua piccola stazza, un karfi poteva avere qualche finalità pratica, di trasporto o di spostamento. La nave di Oseberg era troppo poco solida, un'imbarcazione a uso personale e celebrativo di un grande signore che poteva permettersi un tale sfoggio di ricchezza e di mantenerla in uso per ben cinquant'anni. Sì, perchè le analisi del legname e degli oggetti rinvenuti a bordo hanno fatto calcolare la sua costruzione a circa 50 anni prima del suo interramento. Una durata di vita molto elevata, dovuta sicuramente all'estrema cura, al poco utilizzo e anche alla robustezza del legno di quercia, non a caso prediletto dai costruttori navali.
Il tumulo di Oseberg
A circa 100 km a sud-ovest di Oslo, nella
contea di Vestfold, si trova il luogo di maggiori scoperte di navi vichinghe in
Norvegia. Qui, nella fattoria di Oseberg, vicino il capoluogo della contea Tønsberg,
1200 anni fa venne eretto un tumulo monumentale alto 6 m. e di circa 4,4 m. di
diametro. Sotto, si trovava una grande e maestosa nave in legno di quercia, all’interno
della quale erano state sepolte due donne, una di giovane età, l’altra di età avanzata,
accompagnate nel loro riposo dalle carcasse di 12 cavalli, un carro, una
slitta, entrambe fittamente ornate, oggetti personali e da lavoro, soprattutto
tessitura, e una vasta serie di suppellettili, tra cui un curioso secchio,
chiamato “di Buddha” per i due omini in bronzo che adornano il manico del
secchio, raffigurati con gambe incrociate e occhi schiacciati o semplicemente
chiusi, che ricordano un Buddha (foto affianco).
La tomba
doveva essere estremamente ricca, molto più di quanto lo sia oggi, e la sua
notorietà non passò inosservata. Non sappiamo quando (forse nel pieno Medioevo,
forse poco tempo dopo la tumulazione) alcuni ladri riuscirono a entrare nel
tumulo, praticando un buco nella nave e poi nella terra, per trafugare gli
oggetti più preziosi.
Fonte: http://saamiblog.blogspot.com/ |
Nel 1904 iniziarono
i lavori di scavo nel tumulo, per far tornare alla luce ciò che la terra aveva
nascosto per secoli. In quell’epoca il tumolo era ormai tutt’altro che
imponente. A causa di uno smottamento del terreno, la parte centrale era
collassata, tanto che il tumulo non superava i 2 m. di altezza. Ciò che gli
archeologi trovarono all’interno, però, sebbene derubato dei suoi preziosi e
ridotto a innumerevoli frammenti, era un tesoro inestimabile. Una scoperta che non
solo rientrava a pieno titolo nel patrimonio mondiale, ma che gettava
finalmente luce su come veramente apparivano le navi vichinghe.
La nave di una regina?
Le due donne nella camera funeraria, posizionata al
centro della nave, furono sepolte simultaneamente in un anno compreso tra l’800
e l’850. Anzi, alcune analisi hanno fornito una datazione ancora più precisa,
ponendo la loro morte al 834. Un periodo particolarmente importante per la
Norvegia.
Per cercare di capire le ipotesi fatte sull’identità
e l’importanza delle due donne di Oseberg, partiamo da un breve tratteggio
della storia norvegese in quel particolare secolo.
Le nostre conoscenze sulla Norvegia del IX secolo
sono molto labile e si confondono con la leggenda. In quel periodo non
esisteva la Norvegia, se non come concetto geografico molto ristretto,
riservato alla sua costa atlantica, oggi nota come Vestlandet (Terra
Occidentale). Altre regioni, pur importanti, erano il centro nord, oggi Trøndelag,
l’estremo nord dove i norvegesi convivevano con le tribù Sami (preferisco
sempre usare il loro etnonimo, piuttosto che il poco corretto Lapponi), l’Hålogaland,
e ultima, ma non per importanza, l’Østlandet, la regione più orientale che
confina con la Svezia e, tramite il mare, con la Danimarca. Questi territori
erano più o meno indipendenti gli uni dagli altri, anche se naturalmente
sussistevano rapporti diremmo oggi “internazionali” di vario tipo: commerciali,
sociali e soprattutto politici. Alcuni di essi sentivano di appartenere a un’unità
quanto meno culturale, ed è il senso di appartenenza a favorire i migliori
processi di aggregrazione, pur quando imposti dall’alto.
Questo stupendo carro intagliato era tra gli oggetti funebri che accompagnavano le due donne. (Fonte: Museum of Cultural History, University of Oslo/ Eirik Irgens Johnsen) |
Nel 800 si era al principio dell’Età vichinga e sia
in Norvegia sia in Danimarca si stavano mettendo in moto i primi atti per un’unificazione
territoriale. Nella Norvegia centrale da qualche generazione dominava una
dinastia che secondo il mito risaliva al dio Freyr, gli Ynglingar. Guðröðr il Cacciatore regnava su una larga porzione di
territorio che abbracciava tutto il centro-sud della Norvegia. L’aveva ereditato
da suo padre, Hálfdan. Ma Guðröðr doveva accrescere il proprio dominio, non
solo per una questione di prestigio o di potere, ma per un fatto pratico.
Il suo territorio non aveva sbocchi sul mare. Il più lungo fiordo di Norvegia,
il Sogn, confinava a ovest con il suo regno, ma era nella mani di altri potenti
signori, e lo stesso valeva per il fiordo di Oslo, a sud. Il mare era ciò che
rendeva veramente ricco e potente un capo. Dunque Guðröðr operò una scelta
ponderata. Sposò in prime nozze una principessa di nome Álfhildr, la quale gli portò
in dote l’oggi contea di Østfold (per intenderci, a est di Oslo). Ma Álfhildr morì
e Guðröðr necessitava di nuove alleanze, oltre che di imporsi sui nuovi vicini.
Sull’altra sponda del fiordo si trovava un altro piccolo regno, Agðir, il suo
re si chiamava Haraldr, e sua figlia Ása, della quale Guðröðr chiese la mano. Haraldr
rifiutò, temendo che quell’unione avrebbe inglobato il proprio piccolo territorio
in quello di Guðröðr oltre che, ipoteticamente parlando, distaccare il sud
della Norvegia dall’influenza danese.
Così, come era consuetudine, Guðröðr attaccò l’Agðir
e uccise Haraldr. Sua figlia Ása fu costretta a divenire sua moglie e Guðröðr
acquisì il pieno dominio sul sud della Norvegia. Ma non durò a
lungo. Dopo un anno di regno, Guðröðr fu ucciso al termine di un banchetto da un uomo armato di lancia. Il potere dunque passò a Olaf,
il figlio della prima moglie Álfhildr, che prese possesso solo sui territori
originariamente detenuti dal padre e non sull’Est. Ása, che aveva riconosciuto
di essere la mandante dell’omicidio del marito, tornò nella sua terra
insieme al figlioletto di un anno, Hálfdan, e qui assunse il potere fino al
di lui diciottessimo anno.
Non è possibile sapere con assoluta certezza se
questa storia si verificò realmente o, piuttosto, se si tratta di un’interpretazione
non lontana dalla verità ma arricchita da eventi plausibili.
Ora, tenendo conto che Oseberg ricadeva grosso modo
nel territorio posseduto da Ása e suo figlio Hálfdan, è possibile che una delle
due donne tumulate sia proprio la regina Ása? Come detto, la differenza d’età
tra le due è rilevante: per la più anziana si è giunti 70-80 anni, la più
giovane ne aveva poco meno di 50. Facendo qualche calcolo, partendo a ritroso da
due generazioni successive con il nipote Harald I, nell’ipotesi che la donna
più giovane dentro la tomba fosse proprio Ása, si può arrivare alla seguente
datazione:
L’ipotesi che il tumulo di Oseberg, e quindi la nave, appartenessero alla
regina Ása è stata avanzata da numerosi studiosi, basandosi sulla storia appena
raccontata e sull’etimologia popolare che vuole che il primo termine “Ose-“ sia
una distorsione linguistica nel nome originario “Ása”. Tuttavia se non è
possibile confermare la teoria, in mancanza di altre informazioni non è
possibile neanche smentirla. Si è a lungo provato a stabilire mediante il DNA
la connessione tra le due donne sepolte, senza alcun risultato[1], dunque la
loro identità rimane un mistero.
Chiunque fosse il proprietario della nave, comunque, deve essere stato sepolto insieme ad essa e non poteva essere un personaggio di poco conto. Già di per sé possedere una nave, anche molto piccola, era segno di rispettabilità e di potere. Certamente la donna che ne era venuta in possesso (per eredità? Per sua stessa commissione?) era una figura che esercitava una certa influenza. Perciò, anche se forse non appartenne mai ad Ása, e forse neanche a una regina, possiamo essere certi che questa nave fu la degna sepoltura di una donna di prestigio, che amava circondarsi di lusso e di bellezza. Senza ombra di dubbio una donna potente.
La tappezzeria di Oseberg
Tra i numerosi oggetti di valore seppelliti insieme
alla nave si ritrova un pezzo fondamentale per la storia dell’arte vichinga , l’unico
del suo genere in tutta la Scandinavia. È l’arazzo di Oseberg.
La definizione di “arazzo” per questo piccolo
frammento non è esatta. La tecnica dell’arazzo è molto diversa e inventata in
un’età molto più tarda, mentre qui siamo in presenza di un ricamo.
Ricostruzione moderna di un lato dell'arazzo (fonte: www.thornews.com) |
I pochi frammenti rimasti non danno un’idea complessiva di come poteva apparire, perciò le moderne ricostruzioni sono soltanto
speculative. Ci sono però dei punti fermi. Si trattava di strisce di tessuto
larghe tra i 16 e i 23 cm., di lunghezza ignota e ornate ai bordi da nastri
tessuti a tavolette, che venivano appese alle pareti, e rappresentano una
cerimonia, della quale ignoriamo la natura. Una moltitudine di personaggi
affollavano la scena: uomini con lance e spade, cavalli, carri, uomini
impiccati ad alberi come offerte sacrificali. I colori nel tempo sono sbiaditi,
ma tramite alcune analisi si è cercato di ricostruirli. I materiali utilizzati
erano lino (per lo sfondo) e lana (per le figure e i nastri sugli orli).
Bibliografia e link
- Le navi vichinghe di Oslo, di Thorleif Sjøvold (Universitets Oldsaksamling, Oslo, 1983) (in vendita su Amazon.it)
- Snorri Sturluson. Heimskringla: le saghe dei re di Norvegia, a cura di Francesco Sangriso, (Edizioni dell'Orso, Alessandria, 2013)
- Snorri Sturluson. Heimskringla. Volume I, translated by Anthony Faulkes and Alison Finlay, (VSNR, University College London, 2016) (consultabile in pdf online)
- The textiles in the Oseberg ship, by Anne Stine Ingstad
- The women in Oseberg burial, UiO
- Brevi informazioni scientifiche sulle sepolture di Oserbeg e Gokstad
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