venerdì 26 aprile 2019

Elmi vichinghi (VIII-XI secolo)

Ricostruzione dell'elmo di Kiev

  Di elmi indossati da guerrieri vichinghi oggi ne rimangono pochissimi esemplari. Al contrario dei loro predecessori di Epoca Vendel (VI-VIII secolo), dai quali alcuni modelli discendono, possediamo purtroppo soltanto frammenti, anche se negli ultimi tempi cominciano a spuntare rari rinvenimenti. Il più famoso, oltre che più completo, è l'elmo di Gjermundbu (900 c.) proveniente dalla Norvegia, ma questo solo per citare l'unico esemplare di modello tipicamente scandinavo. Vediamo in breve i principali modelli.

  La letteratura norrena era piena di termini poetici e allusioni a ogni genere di arma. Scudo, spada e lancia erano indicate con moltissimi riferimenti e perifrasi specifiche (kenningar): ad esempio ræfr Hildar ("tetto della Valchiria Hild") era sinonimo di "scudo", blóðorms ("serpente di sangue") era sinonimo di "lancia" e così via. Anche gli elmi erano indicati con kenningar specifiche, ma in gran modo inferiore.
  Rilevante è a proposito l'accostamento tra l'elmo e il cinghiale. Già nel Beowulf  vengono descritti "figure di cinghiale che in seguito spada o lama di guerra non potesse fenderlo" (v. 1453) e ancora "il cinghiale sull'elmo" (v. 1286). Il cinghiale, simbolo della forza guerriera e sinonimo in norreno per "principe", viene usato anche nella letteratura scaldica accostato all'elmo: Ála galti (cinghiale di Áli) o hildigalt (cinghiale di guerra).

  Simbolismo a parte, qual era la presenza effettiva degli elmi, specialmente sui campi di battaglia? A considerare solo i pochissimi ritrovamenti, si direbbe una presenza molto bassa, che tuttavia potrebbe essere falsata dal passare dal tempo, oltre dal fatto che queste armi, data la loro complicata costruzione e l'elevato valore che possedevano, venivano probabilmente riusate per più generazioni  andando ovviamente incontro a una certa usura.
  Nelle Saghe Storiche si incontrano pochi guerrieri equipaggiati con elmo. Sono quasi sempre re, figli di re, lendir menn (guerrieri nobili al servizio dei re), qualche pirata. Ad esempio, l'Heimskringla (Saga di Olaf il Santo) riporta che re Olafr Haraldsson aveva 120 uomini, "e tutti indossavano cotte di maglia di ferro ed elmi francesi."
 Il riferimento ai válskir hjálmar (elmi stranieri o francesi?) deve far pensare quasi sicuramente agli elmi cosidetti "normanni" conici che si stavano in Scandinavia agli inizi del XI secolo, quindi nello stesso periodo di re Olaf II Haraldsson.
Distribuzione delle ferite analizzate su uomini sepolti nel campo di battaglia di Korsbetningen
  L'analisi osteologica (cioè lo studio delle ossa) dei morti rinvenuti sui campi di battaglia, come ad esempio nell'immagine qui sopra, non fanno altro che sottolineare come le ferite alla testa fossero le più numerose e probabilmente le più letali, il che significa che, insieme alle gambe, era la parte più esposta del corpo perchè non difesa nè dallo scudo nè dall'elmo.

Elmi a occhiale

Definiti anche spectacle helmets in inglese, sono senza dubbio i degni discendenti degli elmi Vendel. Caratteristica principale è la presenza di una maschera frontale a protezione di buona parte del viso. Oggi conosciamo soltanto quattro esemplari: l'elmo di Gjermundbu, l'elmo di Kiev, l'elmo di Gnezdovo e l'elmo di Tjele. 

Elmo di Gjermundbu


ⓒ Kulturhistorisk Museum Oslo
Nel 1943 un contadino norvegese, Lars Gjermundbo, scavò un tumulo vicino alla sua proprietà di Gjermundbu (contea di Buskerud, Norvegia meridionale) e vi trovò due tombe contenenti diversi oggetti tra cui un elmo. La scoperta era sensazionale perchè fino ad allora non era stato ritrovato un elmo di epoca vichinga in Scandinavia, perlopiù così completo.
ⓒ Vegard Vike
 In realtà l'elmo non era del tutto completo. Il suo stato attuale è una ricostruzione postuma e abbiamo soltanto 17 frammenti per 1/3 dell'elmo originale. Le parti più caratteristiche comunque rimangono la maschera e la piccola cuspide sulla cima, non sempre riprodotta nelle sue ricostruzioni.
 L'elmo non è un unico pezzo, la cupola è costituita da quattro piastre tenute insieme da strisce rivettate (vedi a sx). I due anelli nella fascia frontale indicano la presenza di un camaglio, che molto probabilmente proteggeva soltanto la nuca e il collo, e che invece non era chiuso. Esempi di camagli chiusi non sono da escludere, come ad esempio l'elmo di Valsgärde.






Elmo di Kiev


Anche questo del X secolo, proviene dall'Ucraina (Kiev) e ne rimane soltanto il nasale decorato con intarsi d'oro e composto da vari pezzi. La lunghezza del nasale suggerisce che la maschera protegesse quasi l'intero viso, ma non sappiamo se i fosse un camaglio e se fosse anche qui aperto o chiuso. Ignoriamo anche la struttura dell'elmo, solitamente ispirata all'elmo di Gjermundbu.

Elmo di Tjele



  Datato al 950-970 c., è uno dei due elmi mai rinvenuti in Danimarca (Jutland); l'altro, l'elmo di Gevninge, è composto da un frammento d'occhiale e appartiene all'Era Vendel.
  Il frammento di Tjele, un nasale di 12x7 cm, è troppo piccolo per poter essere assolutamente sicuri che facesse parte di un elmo a maschera, e ancora di più è impossibile risalire alla struttura: era anche questo rivettato, composto da piastre, o essendo di epoca tarda subìva già il modello continenantale dell'elmo conico forgiato da un unico pezzo (o possibilmente due pezzi saldati insieme)?
  L'ultima ipotesi è comunque da escludere. Il pezzo faceva parte di una serie di strumenti da fabbro in cui, tra martelli, incudini e altri arnesi, si ritrovano dei frammenti di ferro sottili di difficile interpretazione e che potrebbero essere le strisce che tenevano insieme i vari pezzi. Si avrebbero così varie ricostruzioni, di cui uguale a Gjermundbu, altre di libera interpretazione non sempre totalmente convincenti (dal web).



Elmo di Lokrume

  Anche di questo ci rimane solo un frammento, il frontale del nasale, che tuttavia non ci permette di classificarlo con estrema sicurezza come un elmo a occhiale o, piuttosto, un elmo conico continentale.
  Per approfondire lo studio su questo pezzo, rimando al bell'articolo (in inglese) di Tomas Vlasaty The helmet from Lokrume su Project Forlǫg (Marobud)



Fonti


  • Ewart Oakeshott, The Archeology of Weapons (1970)
  • Elisabeth Munksgaard, A Viking Age smith, his tools and his stock-in-trade, in Offa 41, Neumünster, 85–89 (1984)
  • James Graham-Campbell, Viking Artefacts. A select catalogue (1980)
  • Sigurd Grieg, Gjermundbufunnet : en høvdingegrav fra 900-årene fra Ringerike, Oslo (1947)
  • Old Russin Arms and Armours: Helmets
  • Snorri Sturluson, Heimskringla volume II. Olafr Haraldsson (The Saint), ed. Anthony Faulkes, VSNR (2014)
  • Tomas Vlasaty,  The helmet from Lokrume (2018)

lunedì 15 aprile 2019

Macrostoria e microstoria in conflitto?



 "Da quanto tempo non legge un libro di storia?" è una domanda che suona più come un'offesa che una critica. Un po' come dire: "Ma tu sai leggere?" E questa è la domanda, provocatoria, assolutamente equivoca, che Ernesto Galli della Loggia ha rivolto nel suo editoriale sul Corriere della Sera ad Alberto Angela. Storico il primo, ordinario di Storia Contemporanea, paleontologo e soprattutto divulgatore di fama nazionale il secondo. 
  Stando all'interpretazione dei social, la polemica che Galli della Loggia rivolge ad Angela è dettata puramente "dall'invidia", l'ennesima critica di un "professorone" (cit.) che in sostanza non sa staccarsi dal suo mondo accademico e attacca sempre per invidia un'icona nazionale come Alberto Angela, figlio di un altro ancor più grande monumento nazionale come Piero Angela, che la loro fama rende semplicemente intoccabili. 
  E per un certo verso, ha ragione chi dice che agli accademici (i "professoroni") non sanno (o non vogliono) abbandonare la propria autoreferenzialità, scendere dal piedistallo di sapienza e saccenza su cui si arroccano. Per chi non ha accesso ai loro illegibili, soporiferi libri di storia, pieni di date, battaglie, re, papi e chi più ne ha, più ne metta, rimangono come ancora di salvezza (per fortuna) i Re della divulgazione scientifica.
  Ma quanto c'è di vero in questo e, soprattutto, la ragione sta solo da una delle due parti? Come sempre, la questione è più complessa e non c'è mai una sola verità.

Partiamo dalle parole di Angela, presentate per la sua collana di libri offerta con la Repubblica: 

Quando apriamo un libro di storia troviamo date, re, battaglie, imperi e poi basta. Sfugge completamente la realtà e cioè che la storia è fatta di piccole storie. In questa serie , ogni epoca la vedremo attraverso una famiglia: ogni volume racconta di un padre, una madre, di figli, zie, ed esplora la loro vita quotidiana, i cibi, le strade, i commerci, i modi di vestire, come un padre si rivolgeva ai figli, come avveniva un matrimonio. Non è quello che tutti vorremmo sapere?

Che cosa c'è di vero in queste parole? Personalmente, non ho contatti diretti con i libri scolastici da 6 anni, avendo finito il Liceo nel 2013, perciò a disposizione ho solo i miei vecchi testi, che non credo siano cambiati molto come impostazione. Se prendo in mano il libro di storia del 3° anno, ad esempio, e do una rapida sfogliata, non solo mi rendo conto che Angela non sbaglia, ma che in mezzo a quel mucchio di informazioni e nozioni sbattute in faccia alla Me quindicenne ci sono così tanti errori e approssimazioni che da storica mi fanno semplicemente rabbrividire. Faccio un semplice esempio con la pagina che ho qui davanti (il libro è Cataldo-Luperini, Di fronte alla storia vol. 1, 1100-1648), riguardo la cosidetta e temutissima piramide feudale:
Una piramide senza cambiamenti di ruolo.
La struttura della società feudale ha la forma di una piramide. Al vertice stanno le massime autorità politiche e religiose: l'imperatore e il papa. Più in basso ci sono i grandi signori, e poi i signori di rango inferiore, che insieme formano la nobiltà. [...] Più in basso stanno gli uomini liberi: piccoli funzionari del signore, coloni in affitto suo suoi terreni, artigiani. Al fondo i servi della gleba, manodopera contadina in stato di schiavitù, legata alla terra ("gleba") e cedibile con essa.
La struttura sociale non consente movimenti interni: è rigida al punto da essere concepita come di origine divina. Gli uomini sono divisi in tre ordini: gli
oratores (cioè 'coloro che pregano', i religiosi), i bellatores (i 'soldati') e i laboratores ('lavoratori'), rigidamente definiti e distinti nei loro ruoli sociali.

 La piramide feudale è un concetto superato almeno dagli anni '80. E no, la teoria dei tre ordini è sempre stata solo e soltanto una teoria, appunto. Una teoria creata al principio del XI secolo, quando stavano avvenendo rivolgimenti sociali e politici in tutta Europa, come una specie di ancora di salvezza teorica a cui ci si sarebbe dovuti appigliare , secondo una visione insolitamente rigida (sì, esatto, insolitamente).

Strafalcioni a parte, qualcuno perdonabile per la vaghezza dell'argomento affrontato, qualcuno non perdonabile, tutto il resto del libro è una cascata ininterrotta di battaglie, nomi e date, che sì seguono in filo cronologico e quindi sensato, ma difficili da memorizzare e incapaci per lo più di suscitare interesse. Qualche volta la narrazione è intervallata da piccoli focus di cultura generale. Le microstorie. Ed ecco che la cultura materiale viene tirata in mezzo a questo marasma di informazioni, cercando di ricreare agli occhi dei ragazzi come poteva essere la vita durante la Guerra dei Trent'anni, o cosa sono i Polder olandesi: ma fidatevi, dopo cinque minuti ci si è dimenticati già sia di cosa sia la Guerra dei Trent'anni, sia che cosa mangiavano i contadini tedeschi durante la suddetta guerra.
 
 Un micropezzetto di Microstoria schiacciata sotto il peso della Macrostoria, quindi. La storia reale, la storia vera delle persone contro la storia dei re che facevano la guerra mandando a morire proprio quelle persone di cui è fatta la Storia. L'idea di opporre queste due visioni è vecchia e non può e non deve esistere.
  Nascondere che per lungo tempo la storia è stata soltanto il racconto degli avvenimenti politici e militari è inutile. Fino agli inizi del 1900 si era sempre fatta storia in questo modo, e a questa narrazione non sono venuti meno nè gli intellettuali Illuministi nè i Positivisti. Altre analisi che esulavano dalla storia degli eventi appartenevano ad esempio alla Sociologia. Un timido segnale, rimasto perlopiù un'eccezione, era stata fatta da Leopold von Ranke (1795-1886), studioso tedesco che cercò di inserire nella sua Storia della Riforma in Germania anche storia sociale, storia letteraria, storia scientifica. In poche parole, riuscì ad amalgamare quella che oggi è chiamata "microstoria" insieme alla "macrostoria", ma Ranke era un pionere e come tale non venne compreso. Occorreva aspettare il nuovo secolo perchè questa idea venisse ripresa.
  Les Annales furono una rivoluzione storiografica a tutti gli effetti. La loro impostazione e i loro autori possono piacere o non piacere, ma va loro riconosciuto il merito di aver portato (faticosamente) a livello accademico aspetti della storia fino ad allora ignorati o visti più come "curiosità". Tra questi, la cultura materiale
  L'archeologia e la paleografia hanno fatto il resto del lavoro. Oggi c'è ancora chi scambia l'archeologia per storia dell'arte, come se il Gran Tour Europeo del 1700 non sia mai stato superato, ma questa è un'altra questione. E l'archeologia oggi è entrata a pieno titolo negli studi accademici, gli storici ne fanno largo uso (nonostante lo stereotipo dello storico snob che bullizza l'archeologo con la cazzuola in mano), e cosa c'è di più materiale, di più vivo di un reperto? Oggi possiamo sapere (o presumere di sapere con una certa sicurezza) come vivevano le famiglie rurali dell'Antica Roma o i cittadini di Londra nel 1400 toccando con mano le loro scarpe rinvenute nel fango o i piatti in cui mangiavano ridotti a cocci. 
  E cosa c'è di più materiale, di più vivo, di un diploma firmato di sua mano da re Giovanni d'Inghilterra nel 1215 (la Magna charta libertatum) o della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789? Un tempo si diceva che la Macrostoria è più importante della Microstoria, oggi che è la Microstoria a dover essere riconosciuta come l'unica vera storia. Non può semplicemente essere che tutta la storia è importante?

  È inutile e pure dannoso far entrare in conflitto due aspetti così completari. Senza uno, non esisterebbe l'altro, sono due facce dello stesso fenomeno che può essere visto sotto prospettive diverse, senza però che questo debba creare una superiorità dell'uno dell'altro. 
  Lo stesso problema si pone tra divulgazione e studio accademico. È inutile e dannoso contrapporre un modo di presentare l'uno superiore o inferiore all'altro, intanto perchè è chiaro che non tutti hanno fatto o possono fare della storia la propria passione o perfino il proprio lavoro, e tuttavia provano un sincero interesse verso questo argomento così bistrattato, beceramente manipolato e insegnato male.  
  In secondo luogo, è importante stimolare alla conoscenza, anche generale ma corretta, il grande pubblico. Si fa tanto vanto di essere il paese della cultura (come se l'avessimo solo noi, ma va bene), ma è un dato di fatto della Cultura non se ne fa un'attrazione, non tanto per i forestieri quanto per gli stessi cittadini. La Cultura è prodotta dalla Storia e la Storia è prodotta dalla Cultura, il fluire del tempo, per gli uomini, è mosso da questi motori. 

  Dove sta, quindi, il vero punto? Da che parte stanno il torto e la ragione? Da entrambe le parti. Il torto sta in quel mondo accademico che purtroppo ancora oggi si arrocca sulle sue posizioni di superiorità guardando alla cultura generale e alla divulgazione come un male, qualcosa che gli sottrae l'esclusivo prestigio; quel mondo di specialisti che scrive i libri di storia che dovrebbero non insegnare, ma appassionare, suscitare un minimo di curiosità nelle giovani generazioni.
 Ma il torto sta anche in quella divulgazione manca di fondamenta, di credibilità, di inattendibilità, che fa della propria ignoranza e del proprio pressapochismo un pilastro e addirittura accusa gli specialisti. 
  Occorre individuare un compromesso. La semplicità della comunicazione, non la semplificazione, con l'esattezza di quel che si comunica. L'accuratezza della studio accademico con la leggerezza della divulgazione. La cultura materiale con la vita politica e sociale di un'èra. 
  In poche parole: solo Storia.
  
 

domenica 14 aprile 2019

"Stanotte non temo i Vichinghi"

Il monastero di Glendalough (

Amaro è il vento stanotte,
scuote i banchi capelli dell'oceano.
Stanotte non temo i feroci guerrieri Norvegesi
che attraversano il Mar d'Irlanda

Questa breve poesia è scritta a margine di un manoscritto irlandese del 845, conservato nel monastero svizzero di San Gallo. Si tratta di una copia del trattato latino Institutiones Grammaticae di Prisco (VI secolo) con oltre 9000 glosse, cioè brevi note e spiegazioni a margine del testo. 

Un serbatoio di schiavi


Nel IX secolo l'Irlanda era sotto il continuo attacco dei pirati vichinghi, soprattutto norvegesi, come rievoca la stessa poesia (lothlind). I primi attacchi erano stati registrati fin dal 791, nell'isola di Rathlinn, ma fino agli anni '20 del 800 rimasero piuttosto sporadici e non si conoscono stanziamenti temporanei sull'isola. Dalla metà del 800 gli attacchi invece si moltiplicarono, concentrandosi non più solamente sulle coste ma penetrando l'entroterra dove sorgevano tra l'altro moltissimi monasteri.

Il monachesimo irlandese era uno dei più antichi del Nord Europa, vantava una tradizione che si faceva risalire fino a Patrizio e che aveva espresso noti santi ed eremiti come Colombano o Brendano. L'Irlanda del IX secolo era caratterizzata da una costellazione di piccoli regni e signorie più o meno indipendenti, solo formalmente sottomessi all'Alto Re, una figura dal significato e dai poteri politici poco chiari, quasi sempre solo simbolica. In questo marasma politico, in cui i conflitti territoriali e le faide erano l'ordine del giorno, i monasteri rappresentavano un punto di riferimento e come nel resto d'Europa funzionavano anche come una sorta di custodia per i tesori. 
Tutto questo rappresentava agli occhi dei pirati scandinavi un formidabile serbatoio di schiavi e ricchezze. Schiavi, soprattutto. Nel corso di oltre tre secoli, una buona fetta del mercato schiavistico dell'Europa occidentale era rappresentato da uomini, donne e bambini irlandesi, catturati dai pirati vichinghi e rivenduti sul mercato inglese, europeo e scandinavo. Nelle saghe norrene sono innumerevoli gli schiavi protagonisti o solo citati. Nella Laxdœla saga troviamo la bella Melkorka, una schiava di origine regale comprata da un certo Höskuld innamoratosi a prima vista di lei. Nella Saga di Njáll, Thorsteinn sogna di uno schiavo irlandese, Gilli, che uccide il suo padrone come vendetta per averlo castrato (la castrazione era una punizione in apparenza praticata dai padroni sui propri schiavi, e in Norvegia la Legge del Frostathing consentiva a un agente del re di castrare uno schiavo fuggiasco).
Sebbene quello dello schiavo irlandese sia anche uno stereotipo letterario, in realtà gli studi genetici sulla popolazione islandese rivela che la metà del DNA dei colonizzatori aveva origini irlandesi.


sabato 13 aprile 2019

Finn il Gigante


Nella cattedrale di Lund, in Svezia, un gigante di pietra abbraccia e sorregge una colonna dell'antica cripta romanica. La statua, conosciuta in Svezia come Jätten Finn "Il Gigante Finn", è stata identificata nel tempo con due diversi personaggi: il biblico Sansone e un gigante o un troll appunto di nome Finn.
Nel 1103 Lund divenne la sede arcivescovile di tutto il Nord (Norvegia, Svezia, Islanda), e necessitava di una cattedrale degna della nuova posizione. Il primo Arcivescovo della diocesi, Asker, la commissionò a un gruppo di muratori tedeschi e italiani guidati da un architetto di nome Donatus e nel 1123 venne consacrata la cripta, dove risiede il gigante di pietra. Nel 1145 l'intera chiesa era completata e il nuovo Arcivescovo la consacrò. Nel 1234 fu colpita da un devastante incendio, che tuttavia risparmiò la cripta.

Quale Finn?


Chi ha dimestichezza con il Beowulf, ricorderà il re dei Frisoni Finn, ucciso dal danese Hengest, e lo stesso è nominato anche nel poemetto Widsith ("Vagabondo") come Finn Folcwalding [weold] Fresna cynne,"Finn figlio di Folcwald governa il popolo Frisone". 
L'accostamento tra il Gigante Finn di Lund e il Finn di Beowulf è inesistente, tranne però nel caso in cui si voglia prendere in considerazione la teoria che accosterebbe i misteriosi Eotena che intervengono nella Battaglia di Finnsburh tra Danesi e Frisoni. La teoria più accreditata è che gli Eotena altri non sarebbero che gli Juti, la popolazione che abitava lo Jutland (la Danimarca settentrionale), vicini tanto dei Frisoni quanto dei Danesi. Tuttavia, l'assonanza tra l'anglo-sassone Eotena ed eoten "Gigante" è stato più volte notata e messa in relazione. Manca però l'appiglio per identificare lo stesso Finn come un Gigante e perciò identificarlo con il gigante di pietra di Lund, anche perchè la tradizione norrena sembra non conoscere questo personaggio o comunque non ne ha tramandato memoria

Ma Finn ha anche un'altra origine. Nelle saghe norrene le popolazioni Lapponi o Sami vengono chiamate Finnar o Finni (vedi Finlandia, Finmark, ecc.). Nella tradizione scandinava, i Finni non sono soltanto una popolazione altra, culturalmente, linguisticamente o etnologicamente diversa, o comunque percepita come tale: i Finni sono gli stregoni per eccellenza, tanto che il campo semantico della magia era accostato praticamente sempre ai Finnar
Ad esempio, nella Ágrip af Noregskonungasögum, si riferisce di un certo lappone di nome Svási:
[C'era] una certa donna lappone di nome Snjöfridr, figlia di Svási, re dei Lapponi [...]. Era chiamato mago (seiðmaðr), cioè uno che fa sortilegi, e viveva in Hadaland: qui praticava stregoneria ed era soprannominato Skratti (mago).
In letteratura, i poteri di questi maghi lapponi riguardavano ad esempio la manipolazione meteorologica, ma erano anche in grado di mutare forma, tutte capacità date appunto dal seiðr. Questa capacità di assumere altre forme era spesso associata ai Troll, ed è possibile che sia avvenuta una trasposizione tra i maghi Finni e i Troll basata su questa caratteristica, così come era avvenuta tra gli stessi termini "mago" e "Finnr" quando quest'ultimo passò a indicare generalmente qualunque persona capace di usare la magia. 

La leggenda di Lund



La prima storia dello Jätten Finn fu scritta nel 1654 da Jens Lauritzen Wolf, trascrivendo  una storia tramandata oralmente di generazione in generazione.

 Molto tempo fa, all'inizio del XII secolo, un monaco di nome san Lorenzo o san Lars viveva a Lund. San Lars era solito predicare ai sapienti in un grande spazio all'aperto chiamato Helgonabacken, poco fuori città. Sotto la collina viveva un gigante insieme a sua moglie e i suoi figli, e il gigante si disturbava ogni volta che Lars attirava tutta quella gente per i suoi sermoni.

Il gigante uscì dalla collina e chiese al monaco: "Perchè sei qui sulla mia collina a disturbare la mia famiglia?" 
Il monaco rispose che a Lund non c'era una chiesa in cui fare i suoi servizi. Il gigante si sentì dispiaciuto per il monaco e quella gente e promise di costruire una chiesa tutta per loro.

Il gigante chiese: "Perché sei qui sulla mia collina a disturbare la mia famiglia?" Il monaco rispose che a Lund non c'era una chiesa dove potevano mantenere i loro servizi. Come ricompensa, a chiesa completata, San Lars avrebbe dovuto dare il sole e la luna ai figli del gigante. "Ma nessuno può togliere la luna e il sole dal cielo," disse il monaco. Allora il gigante disse: "Allora voglio i tuoi occhi."


Lars voleva così tanto la chiesa che promise i suoi occhi, ma il gigante disse: "Se indovini il mio nome, puoi tenerti gli occhi".

Il gigante raccolse dei grandi massi da Romeleklint e Höör e le trascinò fino a Lund. Lentamente ma
inesorabilmente la cattedrale di Lund cominciò a prendere forma. Nel frattempo il monaco Lars si domandava: "Come può chiamarsi un simile gigante? Ti chiami Gunnar?," gridò al gigante che sedeva sul tetto e fissava le piaste di piombo. "Sture? Filip? O Magnus?" Ma nessun nome era giusto.
Presto la chiesa fu pronta, eppure Lars non aveva scoperto ancora il nome giusto. Andò in giro, osservando  a lungo la foresta, i fiori, il cielo e tutto ciò che era bello nella natura, perché ora sapeva che avrebbe perso i suoi occhi.

Quando arrivò sulla Collina dei Santi, sentì una madre che cantava le storie della buonanotte per i suoi figli. Il monaco trovò che cantasse così bene che si fermò ad ascoltare.

"Dormi piccolo Sölve, dormi figlio mio,
tuo padre Finn
lavora e costruisce mura.
Dormi piccola Gerda, mia adorabile figlia,
fino a che non arriva con il regalo
tuo padre Finn."


"Aha, il gigante si chiama Finn!" Felice, il monaco corse giù per la collina fino alla chiesa dove Finn sedeva sulla torre e inseriva l'ultima pietra: "Finn! Finn! Inserisci l'ultima pietra", gridò Lars.
Il gigante si arrabbiò così tanto che gettò via l'ultima pietra e precipitò nella cripta. Lì afferrò uno dei pilastri e cercò di distruggere la chiesa che aveva appena finito. Ma tutte le forze finirono improvvisamente e lui si trasformò in pietra. Forse si è anche ristretto.

Se vai giù nella cripta, il gigante Finn è ancora lì e abbraccia il suo pilastro di pietra.

Elmi vichinghi (VIII-XI secolo)

Ricostruzione dell'elmo di Kiev   Di elmi indossati da guerrieri vichinghi oggi ne rimangono pochissimi esemplari. Al contrario de...